mercoledì 25 novembre 2009

New Moon




The Twilight Saga: New Moon
USA, 2009
Romantico, drammatico; 120' circa


Regia: Chris Weitz
Cast: Kristen Stewart, Robert Pattinson, Taylor Lautner, Ashley Greene, Peter Facinelli, Elizabeth Reaser, Kellan Lutz, Nikki Reed, Jackson Rathbone, Bronson Pelletier, Alex Meraz





Parto premettendo due cose: 1) il mondo intero mi ha veramente rotto le palle con la saga di Twilight, con foto, immagini, scene di isterismo collettivo, vampiri pacco e "giornali di cinema" che sono diventati "giornali su Twilight" e chi più ne ha e più ne metta... 2) Twilight mi aveva fatto veramente tazza.
Ieri sera, convinta dalla compagnia, mi reco al cinema pensando che sto per buttare via 7 euro nel peggiore dei modi, pronta a sentire urla isteriche delle fangirls al primo battito di ciglia di Edward oppure al primo accenno del pettorale di Jacob... ed il risultato qual è? Che, pur rimanendo convinta che quei 7 euri potevo usarli in altro modo, New Moon mi ha convinto più del primo orribile film. Sarà il cambio di regia, o la maggior azione (ma nemmeno troppa)... non so. A metà film non ero ancora addormentata, e nè avevo voglia di alzarmi gridando "al fuoco, al fuoco!" per svegliare dal coma i poveri fidanzati delle teenagers in love.
Eravamo rimasti dove? Che lei, quella splendida attrice, e lui, il vampiro con i glitters, stavano insieme, innamorati come nei migliori romanzi rosa. Succede che poi lei, durante la festa del suo 18° compleanno, si taglia un dito. La macchiettina di sangue scatena un vampiro ed Edward, per difenderla, quasi le spacca un braccio... no, aspettate, volevo dire: ...Edward ed il resto dei Cullen cercano di proteggerla e di calmare l'altro vampiro. Successivamente lui molla lei (che da brava attrice non fa una piega)... poi salta fuori che Jacob, l'uomo che odiava le magliette, è un licantropo, e quindi... aaah basta, che noia mortale, cristo.
Ci sono delle cose positive, tipo che Edward (che effettivamente si vede poco nel film) è comunque un bel figliolo (però nani, un po' di spessore magari?), qualche chicca tipo il passare dei mesi che possiamo notare attraverso una finestra (non che comunque si possa urlare alla novità del secolo), oppure gli effetti speciali che, grazie alla schermata ed al sonoro del cinema, fanno tremare un attimo i piedi... per il resto ci troviamo davanti ad un polpettone romantico, da far ululare le ragazze nella file davanti di dietro di fianco. Sui Volturi c'è poco da dire: tanto rompimento di palle di qui e di là, con l'Italia protagonista eccetera per una scena di, uhm, 10 minuti? L'unico personaggio che mi dice veramente qualcosa è Alice Cullen, che si è presa pure un mio applauso quando ha fatto una battuta su Jacob (quanto odio sto pallone gonfiato).

In conclusione: rimango convinta che questa saga abbia un target d'età basso (e lo dico io che a 25 anni suonati ho pianto leggendo l'ultimo libro di Harry Potter... ehm...), che abbia poco spessore e che sia taaanto lagnosa...

Sempre W Dracula!

lunedì 16 novembre 2009






Una questione privata
di Beppe Fenoglio
Einaudi Super ET
anno 2006
pag 129- euro 10,50







Beppe Fenoglio è noto a molti come il più importate scrittore della Resistenza italiana grazie al suo capolavoro “Il partigiano Johnny”.Pochi sanno, però, che la sua è una ricca bibliografia, quasi sempre ispirata dalla lotta partigiana a cui lo scrittore stesso ha partecipato attivamente nelle Langhe Piemontesi. Ed è proprio tra le colline e le valli nei pressi di Cuneo che scorre “Una questione privata”, un breve ma intenso romanzo.
Milton è uno studente universitario timido e bruttino che trascorre interminabili pomeriggi in compagnia di Fulvia, la ragazza di cui è innamorato. Siamo nel novembre del 1944 in una villetta della piccola cittadina Alba, dove Fulvia si è rifugiata da Torino per scampare ai bombardamenti del conflitto mondiale. Per i due giovani la guerra è ancora solo un’impercettibile eco sopraffatta dalla musica proveniente dall’instancabile grammofono che, quando si ferma, viene rimpiazzato dalla voce del ragazzo che legge ad alta voce e traduce le poesie dei grandi della letteratura inglese per allietare Fulvia. La magia dell’amore adolescenziale svanisce con la partenza in guerra di Milton, che presto si unisce alle brigate partigiane.
Nelle prime pagine del racconto appare Milton partigiano e armato ,in piedi davanti alla villa ormai abbandonata di Fulvia che dice “Sono sempre lo stesso,Fulvia. Ho fatto tanto, ho camminato tanto…Sono scappato e ho inseguito. Mi sono sentito vivo come mai e mi son visto morto. Ho riso e ho pianto. Ho ucciso un uomo, a caldo. Ne ho visti uccidere, a freddo, moltissimi. Ma io sono sempre lo stesso.” Il passato amoroso e il futuro turbolento del ragazzo viaggiano sullo stesso binario attraverso una serie di avvincenti flashback. Dopo una conversazione con la governante di Fulvia il giovane è tormentato dal sospetto che la ragazza durante la sua assenza abbia intrattenuto una relazione con il loro amico Giorgio, il più bello e ricco ragazzo di Alba. L’insidiosa pulce nell’orecchio spinge il ragazzo a una disperata e affannosa ricerca di Giorgio, partigiano come lui e unico custode della verità, forse terribile, ma sicuramente più misericordioso dell’assillante dubbio. L’amore mascherato di accecante gelosia induce Milton a una fuga estenuante, effettiva protagonista del racconto, ricca di avventure intrise di suspense che porta a un finale atipico che la critica ha considerato aperto o addirittura incompleto. Il lettore, invece, viene catapultato nel disagio delle notti insonni fra le montagne, fra il rischio di agguati mortali e mine anti-uomo, nella sofferenza della fame, del freddo, della mancanza di igiene, nella convivenza forzata con la paura. Sullo sfondo brillanti descrizioni di paesaggi, personaggi, incontri, stati d’animo frutto di uno stile scorrevole ma denso e di una spiccata sensibilità. Tale sensibilità a volte viene meno, come nelle asettiche descrizioni e negli spietati dettagli di atti crudeli, di esecuzioni capitali non sempre giustificati dal tremendo “mors tua vita mea”. Per quanto tutto possa far pensare a un’atmosfera faziosa, in realtà nel racconto non spiccano i partigiani e i fascisti, non esiste il nemico né l’alleato, non c’è un’indagine a posteriore sul giusto e sbagliato, non si arriva neanche a parlare di vincitori e sconfitti. Il libro è popolato da uomini, esseri umani, giovani nel pieno della vita, che muoiono fagocitati come pedine dall’unico male incurabile ed eterno: la guerra, qualunque essa sia. E ai romantici superstiti all’ambientazione bellicosa, vorrei far notare che proprio l’invocazione di Milton sopraccitata dimostra che, nonostante l’orrore in cui sia costretto a vivere, il giovane partigiano rimane un ragazzo innamorato.

venerdì 13 novembre 2009

Fever Ray "Fever Ray"


Fever Ray
Fever Ray

anno 2009

durata 48.02


Stilettate gelide ma avvolgenti: così si può definire l'ascolto di un qualsiasi disco dei The Knife duo elettronico svedese che in questi anni “0” è stato tra le più interessanti espressioni prodotte dalla musica sintetica a livello internazionale.
Nel 2009 la metà femminile del duo (Karin Dreijer Andersson) ha deciso di produrre qualcosa di completamente suo: il risultato è il progetto Fever Ray e l'omonimo disco uscito lo scorso Marzo.

Oltre ai The Knife la Andersson negli ultimi anni ha prestato la sua voce, graffiante ma capace di evoluzioni suadenti, pure a gruppi come dEUS e Röyksopp e, forse, proprio grazie alla collaborazione con quest'ultimi le deve esser venuta la scintilla Fever Ray: con il gruppo norvegese, infatti, già condivideva una certa attitudine nel ricercare commistioni tra l'Ambient Downtempo ottantino (alla Art of Noise per intendersi) britannico e la novantina Bristol Scene, con l'aggiunta di un sound cristallizzato in suoni gelidi tipico dell'elettronica del grande nord europeo, ma la novità rispetto alle precedenti collaborazioni è un'interessante ricerca di esperienze appartenenti a ben altre latitudini: nulla di “estivo”, per carità, qui si rimane sempre e ampiamente sotto lo zero ma qua e la spuntano ritmi tiepidi che provocano un'interessante esperienza dicotomica con il restante ambiente subpolare.

Con la fine degli anni 90 i resti fossili del Trip-Hop sono diventati ingombranti creature atte a rivitalizzare spot pubblicitari e/o allietare eventi mondani e, pur rimanendo il prodotto musicale più (e scusate la parolaccia) seminale di quegli anni in ben pochi al di fuori della cerchia (forse il solo Chris Corner, che comunque non ne era propriamente estraneo, con il progetto IAMX) originale son riusciti a ricavarne frutti di un sapore non solo derivativo: ascoltando “Fever Ray” ed immergendosi nel suo panorama dominato dal synth e da chitarre ultra effettate un deciso sterzare appare evidente e fluttuando tra nebbie e cristalli sonori fragilissimi la sensazione di aver trovato una via alternativa al Glamour in cui il genere s'era pericolosamente infilato negli ultimi anni appare evidente.

Il resto è un albeggiare di freddi soli boreali dopo scure notti nordiche: averne paura sarebbe un peccato.

Rating: 8,5/10