domenica 27 dicembre 2009

Moon





Moon
USA, 2009
Drammatico, fantascienza; 95'

Regia: Duncan Jones
Cast: Sam Rockwell, Kevin Spacey (voce), Dominique McElligott, Kaya Scodelario, Malcolm Stewart, Robin Chalk, Matt Berry, Benedict Wong





In un futuro forse non troppo lontano, le risorse per mandare avanti il nostro pianeta arrivano dalla Luna. Sam (interpretato da uno splendido Sam Rockwell), è l'astronauta incaricato di controllare che tutto, sulla Luna, proceda sotto controllo. Il suo contratto di tre anni è quasi giunto al termine: mancano solo due settimane al suo ritorno sulla Terra, dove potrà riabbracciare la moglie e la figlia. Durante una ricognizione sul territorio lunare, Sam ha un incidente dovuto ad un'allucinazione. Si sveglia successivamente nell'infermeria, con dei piccoli vuoti di memoria, tra le quali proprio non ricordare come essere giunto alla base dopo l'incidente. Il suo amico-robot Gerty (la cui voce nella versione originale è data da Kevin Spacey) ha l'obbligo di non farlo uscire dalla base, ma con uno stratagemma Sam riuscirà a tornare sul luogo dell'incidente, fino a scoprire una terribile verità... e non vado avanti per evitare spoilers che potrebbero rovinarvi la visione del film!
Facendo un occhiolino - forse due - a 2001 Odissea nello Spazio, il regista Duncan Jones (per chi non lo sapesse si tratta del figlio di David Bowie), ci regala un (quasi) ottimo film, probabilmente uno dei migliori del 2009; considerando che si tratta inoltre del primo lungometraggio girato da Jones, direi che è partito col piede giusto. E' un film di fantascienza, sì, ma non aspettatevi astronavi, alieni, spade laser e ritmi vivaci: se lo è, è "soltanto" perché il protagonista si trova in una base spaziale sulla Luna. Il protagonista è il personaggio su cui ruota tutto: un ottimo Sam Rockwell (uno degli attori più sottovalutati al mondo, fatemelo dire) regge praticamente da solo tutta la baracca; il suo personaggio emerge grazie al suo lato psicologico, a quello che deve affrontare tutto da solo, mentre i suoi cari sono lontanissimi, senza avere la possibilità di parlarci direttamente ma mandando solo messaggi - senza avere la certezza che arrivino a chi di dovere. Il suo unico "amico" è un robot che a tratti ricorda il caro e vecchio Hal9000, dotato di sentimenti che esprime attraverso emoticons.
Sequenze lunghe e ritmi che a molti potrebbero sembrare lenti completano la bellezza di questo film, una perla che è passata in sordina (ma va?), ma che merita la visione. Non è perfetto, ma io metterei la firma per avere almeno tre film così all'anno. Un applauso. Anzi, due...

martedì 8 dicembre 2009

The Dome - Stephen King








The dome
di Stephen King
Sperling & Kupfer editore
pagine 1037 - euro 23,90









L'ultimo mio libro letto di Stephen King risaliva a ben 10 anni fa, poi un volontario esilio...
Quando ho sentito dell'uscita di questo ultimo lavoro, dal promettente titolo “The dome”, ho voluto dare una seconda chance al pazzoide del Maine!
Che dire...
Non riuscivo a staccare gli occhi dalle pagine!
Spunto intrigante e ritmi serratissimi, personaggi che non vedi l'ora di ammazzare con le tue stesse mani dopo orrendi lavoretti medievali a base di saldatore e fil di ferro, finale più o meno all'altezza delle aspettative.
Insomma, un po' tutto quello che ci si aspetta da un buon libro di genere (soprattutto il discorso sui personaggi...)!
Una cittadina del Maine (ma guarda un po'...) dal nome Chester's Mill finisce non si sa per quale oscura ragione sotto una cupola piovuta dal cielo.
Tutto quello che c'e' al di sotto della cupola rimane inesorabilmente isolato dal resto del mondo.
Dopo lo sbigottimento iniziale, I 2000 abitanti della ridente cittadina si abituano alla situazione, ma non si rassegnano all'orribile destino che si prospetta.
Immaginate di essere sotto una cupola con centinaia di automobili, di generatori a propano e di altri non trascurabili fattori inquinanti.
Chiaro il concetto?
Benissimo, perchè questo sarà il male minore.
Immaginate ora duemila persone che iniziano ad essere a corto di cibo, che sono in balia di loro stessi senza possibilità di intervento dall'esterno e che devono sottostare alle smanie di potere di un corrotto ciccione che vede la disgrazia accaduta come il modo di diventare l'imperatore assoluto di cupolandia...
Perfetto, ora ci siete.
Aggiungete una spruzzata di visioni catastrofiche a base di uomini in fiamme e spaventapasseri dal ghigno beffardo occorse a poveri malcapitati e avrete il quadro completo.
Stephen King è un bel volpone e quindi utilizza questo bello spunto di partenza per costruire una vicenda in cui in realtà accade ben poco, ma quello che accade è ciò che deve succedere. Senza scampo.
E' come guardare con una lente di ingrandimento ciò che capita ad un gruppo di formiche intrappolate in un bicchiere.
Una sorta di grande fratello in salsa catastrofista.
L'aspetto vincente del romanzo è la scioltezza di scrittura dell'autore, che riesce abilmente a tratteggiare situazioni classiche della propria produzione, ma che si spingono questa volta ad un'analisi ancora piu' approfondita della psiche dei personaggi coinvolti, E non può essere altrimenti in un romanzo che si svolge completamente in un ambiente chiuso ed in cui non c'e' spazio per chissà quali soluzioni narrative.
Il libro è un bel volumone da 1040 pagine che scorrono via che è un piacere, rispecchiando quella che era la volontà di King di scrivere un romanzo con il pedale dell'acceleratore pigiato fino in fondo.
Direi quindi che è un'opera consigliata, indipendentemente che amiate Stephen King o meno ed in cui troverete ben più di ciò che ci si possa aspettare all'inizio.


giovedì 3 dicembre 2009

Pearl Jam - Backspacer







Pearl Jam
Backspacer
anno 2009
durata 36:00










"Se la coerenza è una virtù nessun'altra

band suona così fedele ai suoi ideali."




Ho voluto iniziare questa recensione con una citazione presa in prestito da un giornale, perchè non c'è nulla di meglio che queste parole a riassumere la carriera, il presente, il futuro e il credo dell'intera vita musicale dei Pearl Jam.
Dopo quasi 20 anni passati sulla cresta dell'onda, gli unici sopravvissuti del movimento "Grunge" danno alle stampe un nuovo album che, se vogliamo, sorprende per la sua estrema compattezza e qualità, merito anche dell'eccellente ritorno di Brendan O'Brien alla produzione.
Un disco immediato e senza fronzoli (il più breve come durata dell'intera carriera del gruppo di Seattle) che colpisce per una buona varietà di stili, grazie anche alla comparsa di strumenti che raramente facevano la loro comparsa nelle passate produzioni del quintetto americano.
Si passa dall'inizio energico di "Gonna See My Friend" e "Got Some" (quest'ultima con un incedere del basso di Jeff Ament molto new-wave) che marcano un pò la direzione dell'intero album, per arrivare a quello che è stato scelto come il singolo per il lancio mondiale dello stesso: "The Fixer" è un pezzo piuttosto anomalo nel catalogo dei Pearl Jam che ad un ascolto iniziale può sembrare anche piuttosto banale ma che in un secondo momento colpisce per la sua semplicità e gioiosità, merito soprattutto delle sue atipiche venature pop.
Si prosegue con "Johnny Guitar", titolo che può trarre in inganno. Ci si aspetta una canzone con citazioni ai Ramones e invece si ascolta un buon brano di rock classico con accordi iniziali che possono ricodare i Rolling Stones. Da sottolineare l'ottima prova vocale di Vedder (standard che mantiene in tutto il disco: una sicurezza) e il sempre chirurgico Matt Cameron, batterista d'altri tempi.
Si arriva al primo capolavoro del disco. "Just Breathe" è di una bellezza disarmante, ricca di dolcezza, pathos e tenerezza sottolineata dalla presenza di una sezione d'archi che, con la chitarra e la voce di Vedder, "dipingono" un quadro a dir poco emozionante. Da notare come si percepisca in maniera forte l'influenza della passata esperienza del cantante nella colonna sonora di "Into the Wild". Non poteva mancare il tributo di Eddie Vedder al mare in "Amongst the Waves", canzone che sembra un tributo ai R.E.M. (d'altronde tutto il nuovo lavoro della band sembra un intero tributo alla musica da loro amata in gioventù). Brano buono ma forse il più debole della compagnia.
Le successiva "Unthought Known" è un ottimo brano, strumentalmente semplice ma piuttosto trascinante, grazie anche al crescendo che porta ad un intermezzo potente, dove si può apprezzare la presenza di Brendan O'Brien, che contribuisce al pezzo con un superlativo apporto al pianoforte. "Supersonic" è la canzone selvaggia che in un disco dei Pearl Jam non può mai mancare. Questa sì è un tributo ai Ramones (era quasi nell'aria), ma che sorprendentemente è ad opera di Stone Gossard e non di Vedder come ci si poteva aspettare. Il chitarrista fa sempre il suo con diligenza e precisione.
Il momento adrenalinico è spezzato da "Speed of Sound", buona ballata rock come solo i Pearl Jam sanno fare oramai, ma che si apprezza di più nella versione "demo", spogliata di tutti gli strumenti e interpretata da Eddie Vedder con la sola chitarra acustica e qualche sovraincisione di slide-guitar e controcanto. Il rock classico torna a far capolino nella successiva "Force of Nature" ad opera di Mike McCready, chitarrista solista che dà sempre i suoi ottimi contributi ai lavori del gruppo e che sembra quasi l'alter-ego scatenato del più compassato Stone Gossard. In questo brano si possono apprezzare reminiscenze del miglior Neil Young, con cui i Jam in passato hanno anche collaborato.
E si arriva così alla degna conclusione del disco, altro capolavoro del Vedder solista. "The End" è un pezzo che è quasi un pugno allo stomaco. Ma non come ci si potrebbe aspettare. Questo brano colpisce per la sua atmosfera pacata e "drammatica", con il cantante che è protagonista di un'interpretazione meravigliosa e struggente, riuscendo a spingere la voce quasi ai limiti del possibile. Anche qui sono presenti solo gli archi a far da cornice alla sola chitarra acustica. Da spendere una parola per il testo che è davvero pura poesia. Molto toccante.
Per concludere, i problemi se vogliamo sono sempre gli stessi. Molta gente rimarrà perplessa all'ascolto. Riecheggiano ancora nella mente dei più nostalgici le urla sfrenate di Vedder dei primi tempi, difficili da scordare. Ma chi è dotato di un pò di coscienza capirà che i tempi passano e il corpo ne risente. Ma l'anima dei Pearl Jam è sempre lì ed è una delle poche certezze rimaste nel panorama rock attuale. Chi si vuole abbandonare ai ricordi Ten è sempre lì sullo scaffale, chi vuole maturare ed appassionarsi assieme a loro stringa un pò i cd già in possesso e lasci un pò di spazio al futuro.
"Everything has changed, absolutely nothing change!"